Sono convinta che la fotografia sia arte. O, almeno, lo possa essere. Sgomberato il campo dalle migliaia di milioni di autoscatti realizzati nei bagni - definiti selfie, perché si sa, in inglese fa più scena - rimangono quei momenti di bellezza congelati in uno scatto, quelle emozioni bloccate per sempre grazie alla prontezza di chi sta dietro la macchina fotografica.
La fotografia è arte perché scuote gli animi.
La fotografia è informazione. Conoscenza. Condivisione.
Basti pensare, recentemente, a ciò che l'immagine del piccolo Aylan è riuscita a fare, commuovendo e indignando il mondo intero (il piccolo siriano, in fuga con la famiglia dal suo Paese, era annegato e la foto del suo corpicino, scattata da Nilüfer Damin, era stata pubblicata da The Indipendent, facendo poi il giro del mondo).
Detto ciò, e premesso che non credo di non essere un'artista dell'immagine, ritengo che chiunque debba poter fotografare ciò che colpisce il proprio animo, per cercare di rendere eterno quel momento.
Per questo ho trovato oltraggioso il divieto assoluto di scattare fotografie alle opere di Tamara de Lempicka esposte a Torino.
Fermo restando che è giusto dettare delle norme a tutela delle opere, come ad esempio quella di non utilizzare il flash.
Le foto che trovate qui sono dunque state da me scattate a cartelloni pubblicitari riproducenti a loro volta i ritratti o parte delle opere originali.
La mostra è stata deludente, per me: il biglietto d'ingresso dal costo esorbitante per la tipologia di allestimento proposto - le opere della De Lempicka possono piacere o non piacere, ma l'allestimento ha comunque la sua importanza - ed il divieto assoluto di scattare foto non esplicitamente dichiarato all'ingresso hanno avuto l'amaro sapore del raggiro. Meglio guardarsi le riproduzioni di riproduzioni di riproduzioni pubblicitarie esposte sul palazzo. Gratis.
Se vuoi chiacchierare o lasciare un commento, passa sul mio blog principale Nonsolobotte, ti risponderò con piacere. (Questo è solo un album fotografico).